Quante volte abbiamo detto o ci siamo sentiti dire che il lavoro sociale è fatto di ascolto? Sempre, a partire dall’università. Io non sono d’accordo e vi spiego il perchè.
Vi sembrerà strano, ma la parola ascolto non mi piace molto. Deriva dal latino ausicula diminutivo di ausis, cioè orecchio: dunque porgere l’orecchio. Un sinonimo di ascoltare è udire le cose che si dicono oppure la persona che parla, un rumore o un suono, come il medico ascolta il battito del cuore. E ancora ascoltare viene utilizzato per indicare un’azione di obbedienza, dare retta, seguire i consigli: pensate a quando diciamo “Ascolta ciò che ti dico”. Infine ha anche significato di esaudire, ad esempio “La sua preghiera è stata ascoltata”.
Obbedire ed esaudire secondo me non ha nulla a che vedere con il lavoro sociale. Io non voglio che le persone che seguo mi obbediscano e io non voglio obbedire a loro: certo, se non hanno alcune informazioni sono io a fornigliele, ma se fanno quella cosa o meno non è una scelta che spetta a me. Dall’altra parte non obbedisco a una persona che mi dice “Ascolta, tu devi fare questo per me”: troppo comodo, ognuno sceglie, al massimo si concorda insieme cosa faccio io e cosa fa la persona.
Per quanto riguarda l’esaudire, nessuno esaudisce i desideri perchè non sono custodita nella lampada di Aladino, casomai si costruisce insieme.
E cosa si può fare se non ascoltare? Sentire!
Sentire deriva da sinnen cioè senso, e inviare cioè dirigere verso: dunque ricevere per mezzo del senso, percepire con la mente, intendere. In senso ampio: avvertire un qualsiasi stato di coscienza indotto in noi dall’esterno attraverso i sensi o un qualsiasi stato affettivo insorgente nell’animo. Pensate a tutte le volte che usiamo in verbo sentire nel linguaggio comune: sento un rumore o un suono, sento odore o sapore di…, sento le voci o un discorso, sento notizie belle o brutte, sento caldo o freddo, sento mal di testa, mi sento addosso gli occhi di tutti o sento il giudizio della gente, sento affetto o rabbia, sento qualcosa per quella persona ma non so cosa.
Usiamo il verbo sentire come sinonimo di ascoltare, per ciò che apprendiamo attraverso i sensi, ciò di cui veniamo a conoscenza, per le sensazioni fisiche, per le sensazioni psichiche e per indicare coscienza di un fatto interiore o di un moto dell’animo. Sono davvero tantissime cose e anche complesse. Quindi sentire comprende l’ascolto, ma non viceversa.
Io credo che un professionista del lavoro sociale debba essere in grado di fare questo:
- Ascoltare le parole senza giudicare
- Comprendere ciò che la persona racconta
- Percepire le sue sensazioni fisiche, psichiche, sensoriali
- Conoscere le questioni interiori, i moti dell’animo e i sentimenti
Quindi deve essere in grado di sentire.
Se anche tu sei un professionista del sociale o sei stato seguito da un servizio, fammi sapere la tua esperienza!
Enrica Gazzaneo says
Condivido in toto. Tutti ascoltano, ma in pochi sentono. Le persone che abbiamo dinanzi comprendono se le stiamo ascoltando o sentendo, l’empatia nasce in quel momento. Se le persone hanno la consapevolezza del tuo sentire ( parole, gesti, umori, ecc) saranno piu’ disponibili ad aprirsi per esternare la difficolta’ di quel momento.
Eleonora Ferraro says
Grazie Enrica!
Natalino says
Buon Pomeriggio,
Secondo me la domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi prima di affrontare un colloquio e’ questa: ” Ho avuto esperienze simili a quelle che mi vengono raccontate dalla persona che ho davanti nelle quali posso aver provato le stesse sensazioni opportunamente rielaborate alla luce delle nostre metodologie professionali ?” se si potremmo comprendere pienamente quello che le persone provano mostrando “Empatia” in caso contrario potremmo farci soltanto”un’idea” ma non sara’ la stessa cosa.
Eleonora Ferraro says
L’empatia è una roba difficilissima: se riuscissimo a sentire sarebbe già un grandissima cosa. Secondo me anche se non abbiamo avuto esperienze simili alla persona, possiamo comunque sentire ciò che prova perchè i sentimenti e le emozioni le proviamo tutti, anche se per ragioni diverse. Quando si parla di rabbia, felicità, rancore, orgoglio, etc. tutti sappiamo a cosa ci riferiamo anche se queste emozioni le abbiamo provate per ragioni diverse: credo che il riconoscimento di tutto questo spesso sia mancante, e potrebbe rivelarsi utile per accogliere bene le persone!