La questione del potere all’interno dei servizi è molto importante proprio perchè chi lavora nel sociale ha il potere di incidere sulla vita delle persone: scusate il gioco di parole!
Ciò accade sia quando l’intervento sociale è richiesto dall’autorità giudiziaria, quindi in un certo senso è un intervento coatto, ma non solo: il potere di incidere sulla vita delle persone c’è anche quando l’intervento viene richiesto dalla persona stessa..
Purtroppo la ricetta su come esercitare questo potere non si trova ancora su Giallozafferano, però possiamo imparare a conoscerlo per gestirlo meglio.
Intanto può essere esercitato in diversi modi oppure può essere non esercitato. Iniziamo a vedere come può essere esercitato:
- Gerarchico e sbilanciato: questo tipo di potere è fatto di influenzamento e coercizione, le persone si sentono sopraffatte da impotenza, vulnerabilità e paura. Alcuni diranno “Un operatore sociale non lo fa!”, invece non è vero: ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie operatori indurre le persone a determinate scelte, ho visto persone messe con le spalle al muro. Per usare una metafora: è l’operatore a guidare la macchina e decidere quale strada intraprendere, senza consultare minimamente la persona. Arrivati a destinazione l’operatore saluterà la persona che magari si troverà in un posto in cui non voleva essere. Il risultato di un intervento del genere? Un’adesione apparente al percorso, quindi un fallimento perchè il risultato non sarà duraturo.
- Negoziato: il professionista detiene il potere, la persona reagisce in una relazione circolare causa-effetto. Questa situazione è molto frequente: si tratta di quelle volte in cui il professionista indica la strada e la persona decide se percorrerla o meno. L’operatore guida la macchina, rende partecipe la persona del tragitto che percorreranno ma è disponibile a deviazioni.
- Condiviso e bilanciato: c’è una equa condivisione, l’operatore è il facilitatore e si viene a creare una relazione collaborativa. Questo è il tipo di potere tipico del coaching, in cui il vero detentore del potere sul proprio percorso è la persona, il professionista funge da navigatore.
Questi sono i tre tipi di potere che si possono esercitare. Poi c’è a mio avviso un ultimo caso ed è quello della macchina che non ha passato il collaudo, ha i freni che non funzionano bene, la convergenza da controllare: insomma una macchina che sbanda! Sulla macchina c’è solo la persona, l’operatore è a terra che vede la macchina sbandare. Cosa può fare?
- Aspetta che si verifichi un incidente.
- Cerca di fermare l’auto.
- Ha un telecomando con cui può limitare la velocità dell’auto.
Queste soluzioni possono papabili: la risposta cambia a seconda del tipo di persona e del tipo di intervento che dobbiamo svolgere in quanto professionisti.
Rimango comunque dell’idea che aspettare l’incidente non sia una buona idea, perchè qualsiasi sia la situazione è possibile almeno limitare la velocità, dunque il possibile danno. Aspettare che si verifichi l’incidente significa non esercitare il potere.
Lo abbiamo questo potere? Sì! Allora esercitiamolo nel migliore dei modi possibili: no alla gerarchia, ma sì alla negoziazione e alla condivisione, a seconda delle persone che abbiamo di fronte. E quando vediamo le persone che rischiano di sbandare interveniamo per tempo, per tutelarle.
Se non sono stata abbastanza chiara in quest ultimo esempio della macchina che sbanda seguimi martedì prossimo: ti racconterò la storia di Lorenzo.
Professionista del sociale, tu come ti poni con la questione del potere?
E tu che ti sei rivolto ai servizi, come ti sei sentito?
Condividete la vostra esperienza, qui o scrivetemi in privato!
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